Cibo, Uomo e Salute: un’evoluzione a braccetto nel tempo!

evoluzionismo e obesità città di parma

Il filo d’Arianna, che lega insieme l’obesità e le moderne patologie cronico-degenerative (diabete, ipertensione, dislipidemie, patologie cardiovascolari e tumorali, ecc.), è costituito dall’evoluzionismo, cioè dall’insieme delle modificazioni che hanno caratterizzato prima gli ominidi, comparsi circa 6-7 milioni di anni fa, e poi l’Homo Sapiens, circa 200.000 anni fa.

La necessità di soddisfare le richieste energetiche del nostro grande cervello hanno aperto la strada all’insulino-resistenza, uno dei fattori chiave delle patologie metaboliche.

Nella nostra evoluzione sono riconosciuti tre periodi: cacciatore-raccoglitore, agicoltore-allevatore, industriale.
L’uomo del Paleolitico aveva una netta preferenza per il cibo ipercalorico, iperlipidico, iperzuccherino e salato per le grandi necessità alimentari, che si sono mantenute elevate nel periodo agricolo. L’uomo lavorava molto all’aperto, sudava molto e aveva quindi necessità di cercare e preferire un cibo con caratteristiche adeguate. La moderna, drastica rivoluzione dello stile di vita ha favorito l’epidemia di obesità, che ha innescato una serie di patologie metaboliche croniche (DM2, ipertensione arteriosa, dislipidemie, ecc.) e quindi la comparsa delle patologie CV e tumorali.

Neel ha indicato nelle condizioni di vita dei nostri antenati del paleolitico (lunghi periodi di digiuno alternati a saltuarie abbuffate) la condizione determinante il cosiddetto “Genotipo risparmiatore”, cioè un DNA pronto a trasformare un eccesso di cibo in grasso per avere una scorta energetica per il successivo digiuno. In altre parole, per Neel il genotipo non è mai diventato fenotipo.

Negli ultimi tempi le ricerche hanno confermato che effettivamente le battute di caccia si protraevano per ore per 10-12 km alternati a corse per 1-2 km con un consumo calorico 5 volte superiore ai moderni sedentari, ma, al contrario, la fame è emersa come un importante problema soltanto dopo lo sviluppo dell’agricoltura. La fame, quindi, non ha avuto sufficiente pressione selettiva per il gene del risparmio. Il rischio genetico di obesità si basa sulle varianti di SNPs (polimorfismi a singolo nucleotide – associati all’obesità): chi ha queste varianti e mangia cibi fritti 4 o più volte la settimana, ha un effetto negativo sull’aumento di peso doppio rispetto a chi ha un rischio basso: la genetica influenza l’effetto di una dieta errata. L’applicazione di un modello matematico di perdita di peso sotto digiuno ha dimostrato che i geni (SNPs) collegati all’obesità è incompatibile con il genotipo risparmiatore.

Il tessuto adiposo svolge un ruolo attivo nella fisiologia umana: l’uomo alla nascita ha la maggiore % di grasso corporeo rispetto agli altri mammiferi e nei primi mesi dopo la nascita aumenta ulteriormente la deposizione di grasso. Maggiori scorte adipose neonatali riducono il rischio di mortalità infantile nei paesi in via di sviluppo.

In realtà al binomio adipe-muscolo è necessario aggiungere un terzo soggetto, particolarmente importante nell’uomo e cioè il cervello: l’uomo ha il maggiore rapporto di encefalizzazione, cioè il rapporto cervello-peso corporeo, che si attesta lungo una retta tra i mammiferi con oscillazioni tra i vari animali. Il quoziente di encefalizzazione raggiunge 7,4-7,8, contro 2,2-2,5 dello scimpanzè, che pure differisce solo per 2% del DNA rispetto al Sapiens. Il cervello dei bimbi cresce dell’1%/die per i primi tre mesi, fino al 33-55% del cervello adulto. Dopo, la crescita rallenta, attestandosi su 0,4%/die. Dopo il primo anno di vita la crescita incontrollata di assoni e dendriti si riduce e i collegamenti già formati sono tagliati fino alla pubertà (Potatura o pruning).
Il metaboloma del cervello umano ha subito il quadruplo dei cambiamenti riscontrabili nello scimpanzé. Gli altri primati hanno in comune la loro enorme forza muscolare rispetto agli esseri umani. Il cervello umano consuma molta più energia rispetto ai cervelli delle altre specie.
A quattro anni, il consumo relativo arriva al valore di picco, circa 66% del consumo totale dell’organismo, e contemporaneamente, il tasso di crescita corporea rallenta, fino al suo minimo. In termini assoluti, invece, il massimo valore di consumo energetico del cervello si raggiunge a cinque anni, ed è pari al doppio di quello di un soggetto adulto. Il cervello detiene nell’adulto moderno 20-25% del MB, essendo solo 2% del BMI. Il cervello è l’unico organo che non cala in condizioni di malnutrizione, è glucosio-dipendente e non ha riserve di glicogeno, che attira molta acqua (2-3g per 1g).

L’insulino-resistenza, quindi, è un meccanismo fisiologico che risparmia glucosio per il cervello. Un eccesso calorico non compensato dall’attività fisica provoca un aumento di metaboliti lipidici intermedi che danneggiano lentamente ma irreversibilmente l’attività ossidativa mitocondriale.
Nel sedentario elevati livelli di TG intramuscolari determinano insulino-resistenza, mentre nell’atleta rimane l’insulino-sensibilità, livelli aumentati di acidi grassi sopprimono il rilascio di insulina mediato dalle incretine.
Tutto questo spiega l’efficacia dell’esercizio fisico sull’insulinemia a digiuno e l’insulino-resistenza in bambini e adolescenti.

In definitiva, il sistema è regolato per assicurare un adeguato rifornimento al cervello, che modula l’uptake muscolare di glucosio inducendo insulino-resistenza via asse ipotalamo-ipofisario. Attraverso l’innervazione simpatica è attivato anche il tessuto adiposo viscerale, che produce FFA, inducenti insulino-resistenza e citokine che attivano la prima difesa infiammatoria, amplificando l’insulinoresistenza.
L’aumentato afflusso di FFA al fegato provoca un aumento dei corpi chetonici, utilizzati da muscolo e cervello. Un tessuto adiposo viscerale ipertrofico rilascia continui segnali che attivano risposte metaboliche e immunitarie inappropriate. Questo dato deve preoccupare perché uno studio su quasi 33.000 adulti americani ha evidenziato che la circonferenza della vita è aumentata progressivamente e in modo significativo da 95,5 cm del 1999-2000 a 98,5 del 2011-2012 e la prevalenza complessiva di obesità addominale aggiustata per età era aumentata significativamente da 46,4% a 54,2%.

A cura di
Prof. Leone Arsenio, specialista in Malattie del ricambio e Diabetologia della Casa di Cura Città di Parma

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